15 giugno 2007

Fine di una strategia "No Party"


Riceviamo e volentieri pubblichiamo


Rieccomi: sono quel candidato di Civitanova che prima delle elezioni vi aveva consigliato quella tattica “simil PSI”, cioè allearsi -al ballottaggio- con chi accettava il vostro programma. Purtroppo non c’è stato ballottaggio quindi la nostra tattica è fallita sul nascere. Una sconfitta può essere l’occasione, lo stimolo, per tirare fuori idee nuove. Ma ad una condizione: che la si interpreti nel giusto verso. Come promesso cercherò di riassumere cosa ho imparato da questa esperienza. Premetto solo un piccolo dettaglio “tecnico”: la mia lista ha preso 664 voti e non abbiamo avuto nessun seggio mentre Rifondazione Comunista e Democrazia Cristiana, con –rispettivamente- 615 e 644 voti hanno avuto un seggio ciascuno, militando una nella maggioranza e una nell’opposizione.
(http://www.rete.comune.civitanova.mc.it/elezioni/comunali2007/liste.asp )
Questo è il primo rischio che si corre a presentarsi da soli.
Per analizzare il voto voglio partire dal quel sondaggio di Repubblica che mostrava che un italiano su dieci ha fiducia nei partiti e nove su dieci no ( http://www.repubblica.it/speciale/2006/sondaggi_governo/fiducia_istituzioni.html ).
Noi ci siamo presentati come paladini di un nuovo corso.
Il nostro messaggio era: se ritieni che i politici di professione vanno “là” solo per “fare i fatti loro”, non li votare, cambia, vota noi.
Abbiamo cercato di aggregare tutti i vari gruppi che in precedenza avevano espresso riserve sull’operato dell’amministrazione e dei partiti e di far arrivare il messaggio alla maggior parte dei cittadini critici verso i partiti.
A questo punto, fuori dai denti, vorrei tentare di descrivere il cittadino in questione. Chi dice di non credere nei partiti è più o meno una persona delusa da come vanno le cose. Questa non è una novità perché per quanto possa ricordare da sempre, ovunque, io ho sentito due discorsi predominanti: non si può più vivere perché i politici pensano solo ai propri interessi e perché la vita costa cara.
I giovani che si stanno formando sull’euro sentiranno ripetersi sempre che il caro-vita è colpa dell’euro, ma vi dico io che non è vero: ricordo una scena della mia infanzia, dei primi anni sessanta: mio padre che torna dal fare la spesa e si lamenta che “oggi mille lire non bastano più” (però, almeno, all’epoca stavano con un’inflazione a due cifre!).
Infatti un’altra caratteristica della gente che si lamenta dei partiti è quella di avere la memoria corta: non ricorda che è una vita che si lamenta sempre delle stesse cose. E non ricordando questo quanto va a votare non può fare altro che votare per il partito per cui ha sempre votato.
E qui siamo all’altro particolare importante: le statistiche dicono che l’Italia ha un solido zoccolo duro, chiamiamoli “quelli del partito preso”, che comunque vadano le cose vota sempre per la stessa fazione. Al massimo si può spostare di partito pur restando sempre di destra o di sinistra. Questo è il 90% degli italiani. In questa maggioranza (che potremmo chiamare più tifosi che elettori) probabilmente i due blocchi si equivalgono.
Eppure dall’avvento della seconda repubblica (intendendo per “seconda” non quella derivante da un cambio di sistema –conseguente a Tangentopoli- ma semplicemente l’avvento del nuovo sistema elettorale) i governi si sono sempre alternati, cioè ha vinto sempre l’opposizione, vale a dire gli italiani non sono mai stati contenti di chi avevano votato in precedenza. Quindi l’esito delle elezioni lo decide quel dieci per cento di elettori veri, però sembra che anche questi hanno la caratteristica che non gli sta bene mai niente.

Morale: le persone che non credono nei partiti non sono disposti a dare il loro voto a chi vorrebbe offrire una alternativa: chi è abituato solo a lamentarsi e non a ragionare per problemi non può -improvvisamente- cambiare.
Per ultimo voglio solo dire una parola anche sulla collaborazione che abbiamo avuto con associazioni locali che teoricamente condividevano quest’impostazione riguardo ai partiti. Anche questo vorrei affermarlo fuori dai denti: la vocazione a far parte di un gruppuscolo nasce dal carattere delle persone, non da ragionamenti o esigenze culturali. In altri termini: spesso chi va a far parte di particolari gruppi è molto portato alla protesta (su qualsiasi problema: ecologia, handicappati, anziani, insetti, spazzatura o quant’altro…) ma poco alle proposte costruttive. E poi i gruppuscoli hanno un complesso di superiorità: credono di poter muovere le masse più dei partiti e quindi che il loro apporto è strategico. E, spesso, sono insofferenti alle critiche.

Tutto questo per dire che io ci voglio lavorare ancora su questo progetto, ma solo se un po’ tutti facciamo un passo indietro, un bagno di umiltà: si trova un minimo comun denominatore su cui essere uniti e costruire una alternativa ai partiti, si impara a fare proposte che si misurano con la realtà e, di conseguenza, si fa un programma comune.










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